Un mese prima di diventare segretario del PD e tre mesi prima di diventare Presidente del Consiglio, Matteo Renzi affermava: “è fondamentale procedere subito allo scorporo” della rete di Telecom Italia, perché “sugli investimenti siamo indietro”, e che “indipendentemente da come sarà Telecom, se sarà italiana o spagnola non mi interessa, ma mi interessa che si facciano gli investimenti sulla rete e in modo rapido”.
Dopo la scalata di Telefonica a Telco diceva che ”è importante che si faccia lo scorporo della rete” e che ”aprirsi agli investimenti stranieri è un bene. Bisogna che la politica capisca gli interessi strategici del Paese e la rete è un interesse strategico”.
Ci sono probabilmente due convinzioni di fondo a fare da solida base a una strategia che sembra venire da lontano.
La prima convinzione è che l’Italia debba colmare al più presto il divario con il resto dell’Europa in termini di diffusione della banda larga e ultralarga, tant’è che a maggio 2010, sulla vicenda della casa al Colosseo di Scajola, Renzi dichiarava: “Sarebbe stato bello aver mandato a casa il Ministro dello Sviluppo Economico perché non ha fatto la banda larga e non perché si è fatto la mansarda larga”.
A novembre 2010 al termine della prima Leopolda (Prossima Fermata: Italia , quella con Civati per interderci), nel manifesto che viene definito “Carta di Firenze” si guarda a un’Italia che “preferisca la banda larga al ponte sullo Stretto”.
Quasi un anno dopo, a ottobre 2011, al sessantesimo dei 100 punti del programma del “Big Bang” alla ex stazione Leopolda di Firenze è possibile leggere: ”Puntare su internet. Accesso a internet veloce per tutti attraverso investimenti sulla banda larga e facendo saltare gli assurdi vincoli legislativi che ci hanno relegato agli ultimi posti della classifica di Freedom House.”
Ancora un anno dopo, nel programma delle Primarie 2012 si leggeva: “Puntare sulle infrastrutture del futuro. – Banda larga. Realizzazione di un Next Generation Network (NGN) messo a disposizione di tutti gli operatori di telecomunicazioni a parità di condizioni tecniche ed economiche e di proprietà di un soggetto esclusivamente pubblico senza fine di lucro e non scalabile promosso da Cassa Depositi e Prestiti.”
La seconda convinzione è che la privatizzazione di Telecom sia stata un pessimo affare per il Paese.
A settembre 2013 in relazione alla scalata di Telefonica a Telco, Renzi affermava che “Il problema di cui dibatte il sistema politico in queste ore non può essere l’italianità delle aziende. Anzi, per quello che mi riguarda sono convinto che ogni serio intervento in Italia sia da incoraggiare, visto che tra il 2011 e il 2012 abbiamo dimezzato gli investimenti stranieri, però vicende, peraltro molto diverse tra loro, quali Telecom e Alitalia oggi allungano l’elenco dei rimpianti di quello che poteva essere e non è stato per responsabilità di una classe politica incapace e miope, che ha messo troppo il naso in vicende da cui doveva star lontana salvo poi dimenticarsi di intervenire quando invece sarebbe stato opportuno”.
Due mesi dopo, a un mese dalle Primarie 2013, rincarava la dose: ”Bene le privatizzazioni ma solo se si fanno sulla base di obiettivi precisi, non come ha fatto il governo D’Alema con la Telecom che ha eliminato una bella occasione di ricchezza per il Paese”.
Fino ad arrivare a un mese fa quando, intervenendo alla trasmissione “Porta a porta” ai primi di febbraio 2015, parlando di una possibile fusione Telecom – Mediaset, il Presidente del Consiglio dichiarava che “L’unica carta per vincere è innovare, investire. Telecom è un azienda che è stata privatizzata. E’ stata fatta un’operazione sbagliata.”
Entrambe le convinzioni convergono su una necessità: lo scorporo della rete Telecom.
Infatti da neo-segretario del PD, ma non ancora Presidente del Consiglio, il 2 gennaio 2014 al Fatto Quotidiano affermava: “Prescindendo dai tecnicismi, un Governo ha un potere enorme di moral suasion, che non è banale, indipendentemente dagli appigli. Nella vicenda Telecom il Governo dovrebbe usarlo per chiarire che lo scorporo della rete è una priorità, o che comunque bisogna avere l’assoluta garanzia di investimenti sull’infrastruttura, attraverso i meccanismi più vari. Su questo settore abbiamo perso troppo tempo”.
Il piano varato dal Governo lo scorso 3 marzo ha quindi una sostanziale coerenza di fondo con le premesse appena evidenziate.
Infatti anche se scompare lo “switch-off”, ovvero la rottamazione forzosa della rete Telecom in rame, la sostituzione della versione portata in Consiglio dei Ministri con la versione “4 marzo” di fatto pone Telecom di fronte a una scelta strategica: rinunciare alle incentivazioni pubbliche o scorporare la rete.
(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Formiche.net)