Che la Terra dei Fuochi non sia una bufala lo sappiamo ed è testimoniato, purtroppo, da centinaia di morti. Ma che la Terra dei Fuochi coincida con l’intera Campania invece è una menzogna clamorosa. E’ quello che emerge dall’articolo a firma di Luciano Pignataro pubblicato oggi su “Il Mattino”.
Infatti, scrive Pignataro, “ (…) il Decreto dei Ministri Martina, Galletti e Lorenzin proibisce di coltivare solo 15 ettari ricadenti in 57 comuni degli 88 considerati a rischio. Una tempesta in un bicchiere d’acqua? Difficile tirare le somme finali, ma un dato è certo: l’allarmismo che ha travolto tutti i prodotti della Campania non ha alcuna giustificazione scientifica.”
L’impatto mediatico prima e commerciale successivamente, è stato devastante “ e non tanto,per i 100 milioni di danni quantificati qualche mese fa dal presidente di Confragricoltura Mario Guidi, ma per il colpo che è stato dato all’immagine della Campania Felix.”
AFFARISTI E MULTINAZIONALI
La Campania, che “con i suoi 500mila ettari di superficie agricola (…)è, insieme alla Puglia e alla Catalogna, uno dei tre grandi poli agroalimentari europei,” non poteva non far gola ad affaristi e multinazionali. Per questi “ la Terra dei Fuochi è stata comunque un grande affare. Per chi ha cercato di coprire i vuoti lasciati dall’agroalimentare campano: aziende di pomodori del Nord, multinazionali che hanno tratto vantaggio dalla difficoltà della dop nonostante le uniche mozzarelle sequestrate siano state quelle blu riconducibili alla Granarolo. Per non parlare dei mediatori di ortofrutta che hanno fatto «girare» i prodotti campani dal Lazio e dalla Puglia.”
LA TERRA DEI FUOCHI E I MEDIA
La denuncia di Pignataro è soprattutto rivolta ai media che non hanno tenuto in nessuna considerazione i dati ufficiali, a partire da una copertina dell’Espresso “(…) dalla quale si evinceva che l’acqua di Napoli sarebbe avvelenata, persino un doppio colpo di Report sul caffè che farebbe schifo a Napoli e sulla pizza, presentata quasi come un elemento a rischio perché cotta tra i fumi del forno a legna, condita con olio rancido e prodotta con farina “00”, ossia una delle eccellenze italiane trasformata in una cosa che fa male.”
Pignataro denuncia anche il taglio di una trasmissione di RaiDue, andata in onda circa due settimane fa, in cui “si parlava di brucellosi con una mozzarella in studio, omettendo di dire che il livello di incidenza di questa malattia In Campania è sotto la media nazionale e che, soprattutto, non c’entra nulla con il latticino perché per produrlo bisogna riscaldare il latte a una temperatura in cui tutti i batteri muoiono.”
I PRODOTTI COLPITI
Lo scandalo della diossina, l’”immagine di Napoli e della Campania sommerse da sacchetti della monnezza” e “le rivelazioni dei pentiti sui rifiuti tossici fatte qualche anno fa ma diventate virali alla fine del 2013 tra i media e sui social” hanno provocato i loro effetti devastanti sull’intero agroalimentare campano.
A partire dalla mozzarella, “ il prodotto diventato una metafora esistenziale di tutto quello che non funziona in Campania nonostante non ci sia il minimo rischio per la salute umana, come attestano le migliaia e migliaia di test fatti dall’istituto Zooprofilattico di Portici e dalle Asl sul territorio.”
In questo caso il calo, nei primi mesi del 2014, è stato del 40% mentre il valore della contrazione dell’export è valutato in almeno 54 milioni di euro.
Nel frattempo Zaia ha promosso in Veneto la mozzarella con i fondi europei la “Mozzarella Stg ” (Specialità Tradizionale Garantita).
L’altra vittima illustre è il pomodoro, anche se la maggior parte del prodotto trasformato in Campania proviene dalla Puglia e le coltivazioni di San Marzano e “Piennolo” sono controllate e certificate fino alla paranoia. A trarne vantaggio le aziende di un Nord sicuramente non esente da possibili contaminazioni, e che, come nel caso di “Pomì”, puntano molto sulla tracciabilità del prodotto.
Insomma confondere aree territoriali distanti anche 150 chilometri dalle zone contaminate torna utile a chi ha lucrato e lucra tuttora, grazie anche a un ruolo dei media che continua ad alimentare confusione e paure.
E’ emblematica la vicenda, citata da Pignataro, di un’azienda biologica produttrice delle famose cipolle ramate di Montoro Inferiore, in provincia di Avellino, e distante almeno 60 chilometri dalla zona a rischio, a cui l’importatore tedesco ha imposto, dopo aver bloccato gli ordini, gli oneri di nuove analisi, tutte superate alla grande, ovviamente.
(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Formiche.net)